“La ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione dopo il D.L. c.d. Semplificazioni” di Paolo Bertacco
Tra le disposizioni di maggior rilievo del D.L. n. 76/2020 (c.d. D.L. Semplificazioni), come modificato dalla legge di conversione n. 120/2020, vi sono sicuramente quelle che incidono sulla disciplina della ristrutturazione edilizia, così come contenuta nel D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia).
Prima di tali modifiche normative, l’art. 3, comma 1, lett. d), T.U. Edilizia consentiva di individuare tre distinte ipotesi di ristrutturazione edilizia, generalmente definita come trasformazione di organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente:
– la prima, riguardante, in via non esaustiva, il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti eseguiti senza demolizione del preesistente fabbricato;
– la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione dell’edificio, con mantenimento della stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica;
– la terza, rappresentata dagli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, previo accertamento della preesistente consistenza.
La novella interviene sensibilmente sulle ultime due ipotesi richiamate, introducendo la possibilità di considerare alla stregua di opere di ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione “con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche” – esplicitando un principio in realtà già riconosciuto dalla giurisprudenza – nonché, nei casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, “incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”.
Si tratta di una modifica di non poco conto, ove si consideri che il discrimine tra nuova costruzione e ristrutturazione edilizia, per quanto attiene agli interventi demo-ricostruttivi, è sempre stato individuato proprio nell’incremento volumetrico.
In tal senso, anche la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 70/2020, aveva ritenuto incostituzionale una legge regionale pugliese che qualificava quale ristrutturazione edilizia l’intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio con diversa sistemazione plano-volumetrica e aumento della volumetria preesistente, a nulla rilevando che quest’ultimo derivasse dall’applicazione delle disposizioni premiali del Piano Casa regionale.
Il D.L. Semplificazioni introduce quindi un significativo cambio di rotta, da leggersi in combinato disposto con le disposizioni, di rango tanto nazionale quanto regionale, volte a stimolare gli interventi di rigenerazione urbana e di riutilizzo del patrimonio immobiliare esistente attraverso, tra l’altro, la concessione di incentivi volumetrici.
Sulla medesima scia si colloca anche il nuovo comma 1-ter, dell’art. 2-bis, T.U. Edilizia, relativo alla deroga delle distanze tra fabbricati e dal confine.
La norma, nella versione previgente, consentiva l’esecuzione di tutti gli interventi di demolizione e ricostruzione – dunque anche quelli ascrivibili alla categoria della ristrutturazione edilizia – nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, purché venisse assicurata la coincidenza dell’area di sedime, del volume e dell’altezza massima dell’edificio ricostruito con quello demolito.
La nuova formulazione del comma 1-ter prevede invece che, “anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini”, la demolizione e ricostruzione possa eseguirsi nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti anche in caso di incremento volumetrico derivante dall’applicazione degli incentivi eventualmente previsti per l’intervento, i quali possono comportare sia “ampliamenti fuori sagoma” sia “il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito”.
Se, da un lato, le norme sopra citate si muovono in una direzione di chiaro favore verso gli interventi di riqualificazione degli edifici esistenti anche mediante la loro completa demolizione e ricostruzione, dall’altro lato, la medesima novella legislativa sembra aver altresì introdotto (forse anche in maniera non del tutto consapevole) previsioni restrittive rispetto a tale finalità rigenerativa.
Ad esempio, lo stesso comma 1-ter dell’art. 2 bis appena richiamato prevede una significativa limitazione con riferimento agli immobili collocati nei centri storici o “in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”, prescrivendo che l’esecuzione di interventi di demo-ricostruttivi, in tali casi, sia consentita “esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale”. La norma, tuttavia, fa salve “le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela” che potrebbero quindi optare per regimi autorizzativi più semplificati.
La limitazione appena ricordata si pone in stretta continuità con quanto contenuto nel sopra citato art. 3, comma 1, lett. d), T.U. Edilizia, che, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. Semplificazioni, estende il regime particolare e più restrittivo delineato per gli interventi di ristrutturazione edilizia demo-ricostruttiva, eseguiti su immobili sottoposti a vincoli di cui al D. Lgs. 42/2004, anche agli edifici ubicati nelle zone del centro storico o di particolare valore storico secondo la medesima definizione contenuta al precedente art. 2-bis, comma 1-ter, cit.
Sembra dunque paradossale che gli interventi di demolizione e ricostruzione degli immobili ubicati nei centri cittadini, che più di altri necessitano di rifacimenti strutturali e appaiono suscettibili di maggiore valorizzazione, possano essere qualificati come interventi di ristrutturazione edilizia, anziché di nuova costruzione (con le conseguenze che ne derivano in termini non solo di ammissibilità dell’intervento, ma anche di maggiore semplificazione procedimentale e minore onerosità), solo se (i) eseguiti con mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e senza incrementi di volumetria, e (ii) attuati mediante pianificazione attuativa (non semplice SCIA o permesso di costruire).
In questi termini, è auspicabile a breve termine un correttivo da parte del legislatore per eliminare limitazioni che rappresentano certamente un elemento ostativo all’obiettivo di rigenerazione urbana cui la stessa novella del DL Semplificazioni vuole tendere ed un passo indietro rispetto alle discipline nazionali e regionali adottate a tal fine negli ultimi anni.